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Normalizzare il lavoro sessuale va a beneficio di papponi e trafficanti

Articolo Originale su Unheard.  


Inquadrare la prostituzione come una scelta qualsiasi che le ragazze possono compiere è pericoloso e degradante.


La festa delle matricole annuale della University of Brighton ha offerto una nuova divertentissima modalità per incontrare gente e partecipare alla vita nel campus: la prostituzione. La scorsa settimana, mentre erano impegnate a consultare società e club sportivi a cui unirsi per ottimizzare la propria esperienza universitaria, le studentesse si sono imbattute nel banchetto del Sex Workers’ Outreach Project (SWOP) che, oltre a fornire preservativi, dava consigli alle giovani donne (non prendiamoci in giro. I giovani uomini non erano parte del target considerato da SWOP) che volessero scegliere di vendere sesso per supportare i propri studi.  

“Venite a trovare SWOP quest'oggi alla Brighton Life and Wellbeing Fair. Se coprite le spese universitarie con del lavoro sessuale, faticate a trovare il giusto equilibrio tra lavoro e studi, o volete parlare e non sapete dove andare...siamo qui per voi. Rispettiamo la vostra autonomia, privacy e confidenzialità.” Questo il tweet di SWOP Sussex a Brighton Oasis Project lo scorso martedì. E sebbene SWOP si dichiari neutrale con la proposta di “supporto e consiglio senza giudizi” a a studentesse lavoratrici sessuali”, il reale impatto della loro presenza nel campus è molto più oscuro.

SWOP è primariamente un gruppo di pressione che supporta la decriminalizzazione del traffico sessuale. E se tutte le femministe combattono per decriminalizzare chi vende sesso, nella convinzione che donne e ragazze non dovrebbero essere punite per aver subito sfruttamento o abusi, organizzazioni come SWOP vogliono decriminalizzare gli sfruttatori - i papponi, i clienti e i proprietari di bordelli. L'organizzazione sostiene che l'unico pericolo relativo alla prostituzione sia lo stigma che la circonda e che, dunque, la soluzione sia normalizzare la prostituzione presentandola come un lavoro come un altro - né più né meno dannoso di servire una tazza di caffè.

A causa di questa linea di partito, il comportamento spesso abusivo - e violento - di papponi, clienti e proprietari di bordelli elude la critica. Questi uomini sono normalissimi clienti e rispettabilissimi gestori di attività. La verità è che tutti i paesi che hanno seguito questo percorso e hanno legalizzato la prostituzione in tutte le sue forme, hanno osservato un aumento nello sfruttamento e nel traffico. Come riporta Spiegel Online citando il Ministero della Famiglia sull'impatto della legalizzazione in Germania, le condizioni delle donne prostituite sono peggiorate considerevolmente. Come riportato da Julie Bindel, invece, in Olanda la legalizzazione ha reso traffico e crimine organizzato più sicuri, ma le cose non sono affatto migliorate per le donne. "L'abuso che le donne sono costrette a subire viene ora chiamato rischio occupazionale", come se fosse una pietra caduta accidentalmente sul piede di un muratore".

Lo stigma che sarebbe dovuto magicamente sparire in presenza di piena legalizzazione non si è visto. Anzi, a dire il vero c'è uno stigma diminuito: quello che circondava gli uomini che pagano per usare il corpo altrui per sesso e quello di coloro che profittano dello sfruttamento delle donne nell'industria sessuale. Le donne prostituite, però, restano traumatizzate, piene di vergogna, e disperate nel desiderio di lasciare la tratta esattamente com'erano prima. Questo perché l'ampia maggioranza delle donne e delle ragazze che restano coinvolte nella prostituzione non lo fa per desiderio di avere rapporti sessuali con un'infinità di sconosciuti con cui non vorrebbero fare sesso, ma per disperazione - per mancanza di alternative. Chi trae beneficio dalla legalizzazione e dalla normalizzazione della prostituzione sono gli uomini, non le donne.

Il banco di SWOP alla festa delle matricole non ha posto l'accento sul livello di violenza e misoginia a cui le donne sono sottoposte nel traffico sessuale – si è mantenuto sul leggero.
Ma qui di leggero non c'è nulla. Se le donne devono eseguire atti sessuali a favore di uomini sconosciuti per poter studiare, c’è qualcosa di importante non funziona nella nostra società. Una riposta di sostegno a questa realtà - se davvero è una realtà (SWOP sostiene “che una studentessa su sei pratichi lavoro sessuale o abbia pensato di farlo) - non dovrebbe essere l'agevolarla, ma il lavorare per assicurarsi che le donne possano studiare e laurearsi senza necessità di vendere sesso per mantenersi.

Un tempo, una simile rivelazione avrebbe sconvolto il pubblico generale. La gran parte delle persone sarebbe sobbalzata al pensiero di fare sesso orale in cambio di una laurea. Ma oggi, grazie a organizzazioni come SWOP e a legioni di giovani attiviste della classe media - cresciute a pane e femminismo di terza ondata che blatera su quanto ogni singola scelta fatta dalle donne sia emancipatoria e che qualsiasi opinione contraria provenga da donne con vagine coperte di ragnatele e bibbie accanto al letto - la corrente è cambiata.

Nell'ultima ventina di anni parlare di "vittimizzazione" è passato di moda. E visto che le donne dovrebbero aspirare a essere emancipate e indipendenti, ci si aspetta che smettiamo di riconoscere che ragazze e donne in tutto il mondo continuano a vivere esistenze che sono tutt'altro che liberate. Quasi come se avessimo abbandonato l'idea stessa che sia possibile fuggire dalla presa della cultura della pornografia, di un mondo in cui stupro e sesso vengono confusi, abbiamo deciso di buttarci su un irragionevole pensiero positivo.

Se ci limitiamo a inquadrare lo spogliarellismo come un modo divertente e sexy di tenersi in forma e fare amicizia con altre donne, ci stiamo dimenticando del messaggio che invia agli uomini circa il ruolo delle donne. Se iniziamo a chiamare la prostituzione "lavoro sessuale", allora forse davvero è un lavoro come un altro, e la scelta tra divenire avvocata o escort dipende solo dalle proprie preferenze.

Invece di contrastare il traffico sessuale o visualizzarlo come qualcosa ce normalizza l'oggettivazione delle donne in società, le liberali moderne si sono mese a difendere i "diritti delle lavoratrici sessuali", al suono di mantra come "il lavoro sessuale è lavoro!”. Ma sebbene sia vero che le donne prostituite meritano diritti come chiunque, questi slogan finto-progressisti ci distraggono dalla verità del traffico sessuale - che non solo è drammaticamente violento, ma trasmette un messaggio pericoloso su come troppi uomini vedono le donne. E anche quando gli scambi non sono violenti, è il fatto stesso che si paghi una persona per performare atti sessuali che non andrebbe accettato. Il sesso dovrebbe essere desiderato da tutte le parti, godibile per tutte le parti.

Una persona con etica ed empatia non vorrebbe fare sesso con qualcuno che preferirebbe essere in qualsiasi altro posto fuorché con lei, che si sentirà disgustato o deumanizzato dall'esperienza. Eppure, proprio mentre insistiamo - tramite campagne sull'educazione al consenso e il movimento #MeToo - che l'unico sesso che dovremmo fare è quello di cui tutti sono entusiasti, al contempo stiamo dicendo alle giovanissime che sesso unilaterale e forzato va benissimo fintantoché comprende uno scambio di denaro. Un simile messaggio non dovrebbe andarci giù. 

Inquadrare il "lavoro sessuale" come una scelta qualsiasi che le ragazze possono compiere, paragonandolo a una laurea in scienze o biologia, manca completamente il fulcro della questione. Non dovremmo chiederci se le donne possano scegliere di prostituirsi o divertirsi a farlo, ma perché viviamo in un mondo in cui è considerato normale e accettabile che gli uomini paghino per qualcosa di simile.